Conversazioni al tempo dei chatbot: l’alchimia tra linguistica cognitiva, UX e programmazione

Il bot copywriting, nuovo alleato della customer experience

Il linguaggio amichevole, in combinazione con un software utile ed accurato, è la formula magica per portare un chatbot in cima alle classifiche di gradimento degli utenti; la pozione da utilizzare è il bot copywriting, nuovo alleato della customer experience. Il risultato dell’incantesimo? Conversazioni utili ed empatiche per relazioni durature tra azienda e cliente-utente. Come direbbe Merlino, uno degli assistenti Office di Windows 97,«Anche se è un po’ vecchia maniera, un briciolo di magia digitale è sempre di aiuto».

Rendere più umane le interazioni tra utente e sistemi

Questo saggio mago, insieme a Clippy (la graffetta), al cane Rocky e al resto della “combriccola dispensatrice di consigli” fa parte degli antenati dei chatbot: i primi esperimenti di interazione utente-software in forma di dialogo. Criticati da molti per il loro essere invadenti e d’impiccio, sono invece rimasti nei cuori dei Dev Microsoft che hanno inserito Clippy come easter-egg di Cortana. I chatbot, gli assistenti virtuali del giorno d’oggi, sono meno ficcanaso e, anzi, intervengono quando sono interpellati dall’utente. Se un tempo era Clippy a fare toc-toc! da dietro lo schermo del pc, oggi è l’utente a decidere di suonare al campanello dei bot. I “quartieri residenziali” in cui dimorano sono le principali app di messaggistica istantanea (Messenger, Telegram, Skype e Slack), ma possono anche essere “inquilini” di siti aziendali. L’obiettivo dell’interfaccia conversazionale, propria dei chatbot, è quello di rendere più umane le interazioni tra utente e sistemi di Intelligenza Artificiale: è una soluzione che piace e che, a dirla tutta, diverte anche; esistono però dei limiti che devono essere superati per rendere questa esperienza meno robotica. Il problema più grande ad oggi è la difficoltà per i chatbot e altri strumenti basati sull’Artificial Intelligence (AI) di comprendere elementi fondamentali del discorso, come le metafore e le similitudini. E non si tratta di un problema di poco conto, considerando il fatto che il sistema cognitivo dell’uomo lavora su base metaforica. Nonostante queste e le non banali limitazioni di contesto, dobbiamo prendere atto che l’AI può solo fare progressi negli anni a venire: nel frattempo, per rendere i chatbot più ricettivi, articolati e “naturali” dobbiamo affidarci alla penna di un copywriter, che non sappia solo scrivere bene ma che abbia anche… frequentato Hogwarts. O che sappia per lo meno usare il Legilimens, incantesimo che permette di leggere nella mente! Se avete a disposizione solo dei copy babbani, non disperate: anche tra di loro ce ne sono di bravi a leggere nella mente degli utenti. Babbani o meno, tutti i copywriter che vogliono provare a dare voce ad un chatbot dovrebbero riflettere sulle fonti comunicative che legano UX, linguistica cognitiva e programmazione; in questo modo si possono trarre conclusioni che consentono di:

  • Capire fino in fondo la grande opportunità offerta dal Conversational Copywriting: lasciarsi guidare dall’utente-lettore, che viene condotto di conseguenza attraverso un’esperienza costruita su misura.
  • Ovviare alle mancanze dell’AI dal punto di vista (linguistico) della comprensione metaforica, utilizzando un approccio visivo.
  • Applicare le basi tecniche del copywriting: seguire alcuni accorgimenti riguardanti Tone of Voice e Conversational Interjections.

Nei prossimi paragrafi approfondiamo questi tre aspetti, per capire come integrare il nostro modo di comunicare in un servizio di conversazione intelligente, AKA chatbot.

Il Conversational Copywriting come punto di contatto tra autore e lettore

Dalla prospettiva del copy, uno degli aspetti più stimolanti della scrittura di testi per chatbot è la possibilità di costruire un’esperienza cucita su misura per ciascun utente, grazie a dei feedback preimpostati. Per mezzo di piccole pause del bot, seguite da domande che implicano risposte circoscritte da parte dell’utente, si ha la possibilità di modulare di conseguenza la conversazione del chatbot; in questo modo il copy può prendere parte al dialogo con il lettore (anche se programmato in precedenza) e seguire il filo logico del discorso. È il copy a guidare l’utente o viceversa? Il Conversational Copywriting dei chatbot è quindi un grande vantaggio per chi scrive i testi; come autori di articoli si cerca sempre di empatizzare con il lettore e questo implica un grande lavoro di congetture. Si tende ad avere in testa due o tre lettori modello (personas) e dal momento in cui si compongono le prime frasi a quando si conclude il primo paragrafo è facile avere la sensazione di poter perdere per strada un certo numero di utenti. Si cerca di indovinare cosa proveranno nell’esperienza di lettura, per renderla migliore e fornire le risposte adeguate (scenari). Non si può però accontentare tutti e così si procede fino all’ultimo paragrafo, sperando che buona parte dei lettori sia rimasta lì con noi. I testi di un articolo vengono costruiti con il dubbio costante di aver portato un prezioso utente fuori strada. Grazie ai chatbot e all’intervento del lettore nella conversazione, il copy può porsi dei paletti e avere maggiore sicurezze sulla direzione presa dal contenuto. I chatbot come intermediari tra azienda e cliente Il Natural-Language-Processing (NLP) consente nei casi più sofisticati ai chatbot non solo di comprendere specifici comandi, ma anche di identificare un contesto. Quando però la richiesta dell’utente è insolita o nella pratica non può essere gestita direttamente dal chatbot, è necessario trovare il modo di far percepire il bot come il mediatore capace di accelerare la risoluzione del problema. Dobbiamo accettare il fatto che i chatbot non possono sostituire del tutto gli umani, ma possono comunque rendere più umanizzata un’esperienza. Da questa prospettiva si può pensare all’assistenza clienti umana (chatbot per coadiuvare la customer care) come servizio che entrerà in contatto con il cliente in un secondo momento; l’assistente umano sarà però facilitato dall’intervento di raccolta dati effettuato anticipatamente dal bot. Questo limita l’interruzione della conversazione tra azienda e cliente, il quale percepisce un flusso di comunicazione continuo.

L’esperienza attraverso le metafore concettuali

Le abilità dei chatbot legate alla comprensione linguistica dell’utente hanno bisogno di essere migliorate. La loro intelligenza si basa sulla logica del decision-tree diagram (schema di decisioni e delle loro possibili conseguenze): le risposte fornite dal bot dipendono, infatti, da specifiche keyword individuate nella richiesta/input dell’utente. Interagendo, ad esempio, con il chatbot di meteo.it, possiamo notare che la risposta ottenuta si basa sulle keyword “oggi” e “Brescia”, presenti nella nostra richiesta.

Basta però poco per mandare in crisi il nostro chatbot, che difficilmente è capace di leggere tra le righe; il linguaggio umano è talmente intriso di strutture metaforiche che le stesse metafore divengono luoghi comuni e quasi perdono per il parlante stesso il loro significato di partenza. Un utente potrebbe esprimere la propria richiesta utilizzando inconsciamente una struttura metaforica di difficile comprensione per il chatbot. Vediamo un esempio concreto, provando a interagire con il Chatbot Fissan su Facebook Messenger. Dopo aver ricevuto dal bot il suggerimento di un prodotto che rispecchia le nostre esigenze, potrebbe risultarci spontaneo (aspettandoci indicazioni su dove acquistare) rispondere con un “Non vedo l’ora di provarlo!”. Ecco la reazione del nostro assistente virtuale…

Nel parlato quotidiano utilizziamo l’espressione “Non vedo” l’ora senza quasi renderci conto che si tratta di una metafora: agli occhi del nostro amico chatbot risultiamo troppo colti e ci chiede la parafrasi. La metafora, infatti, non è solamente una figura retorica utilizzata per abbellire i testi, bensì il mezzo che il nostro cervello utilizza per comprendere la realtà, una forma di pensiero. Come emerge dagli studi di George Lakoff e Mark Johnson (“Metafora e vita quotidiana”, 1980), le persone si esprimono principalmente a metafore perché il modo in cui il nostro sistema cognitivo organizza i concetti è di natura metaforica. Attraverso la metafora concettuale, cioè attraverso la mappatura di un dominio concettuale (dominio bersaglio) nei termini di un altro (dominio fonte), riusciamo a fare esperienza del mondo in modo semplificato, per corrispondenza. I domini fonte sono organizzati principalmente in immagini o schemi mentali (frame) che corrispondono ai modelli di esperienza già immagazzinati nel nostro cervello: sono le conoscenze già consolidate che vengono richiamate dal nostro sistema cognitivo per spiegare concetti nuovi. I frame (schemi “contenitore”, “parte-tutto”, “su-giù”, “davanti-dietro”, “percorso”) sono motivati dal fatto che l’essere umano riesce a percepire il proprio corpo come riferimento per fare esperienza della realtà. Per fare un esempio concreto, prendiamo l’espressione “Mettere nel carrello” che utilizziamo quando facciamo un acquisto online. Si tratta di una metafora concettuale che è ormai entrata a far parte del nostro parlato quotidiano. In che modo? Attraverso due frame:

  • Il frame “percorso”: le azioni che l’acquirente svolgerebbe in un negozio fisico rappresentano il dominio fonte, usato per trasferire significato ai passaggi svolti virtualmente.
  • Il frame “contenitore”: il carrello della spesa reale è il dominio fonte che permette di mappare concettualmente l’azione di riempire un carrello virtuale.

Come includere il processo metaforico nei chatbot? Se la metafora concettuale è parte integrante della nostra quotidianità, fondamentale per fare esperienza in modo coinvolgente, è necessario trovare un modo per includere questo processo cognitivo nell’utilizzo dei chatbot. Se da un punto di vista linguistico, legato al NLP, incontriamo ad oggi delle limitazioni, abbiamo invece campo libero nell’ambito delle metafore visive; queste sono rappresentazioni concrete di un concetto astratto: nel contesto della dimensione digitale ci riferiamo a icone e simboli. I programmi di messaggistica e i social network hanno portato gli utenti a modificare il loro modo di esprimersi e quindi alla creazione di un linguaggio innovativo e universale, quello delle emoji. Una vera e propria grammatica, in cui simboli e faccine sostituiscono concetti, emozioni o parole, per comunicare in modo più diretto e veloce. Non solo: servono a dare più impatto visivo alle conversazioni e per rafforzare la personalità del chatbot (costruita con le parole) dato che non possiamo sfruttare il linguaggio del corpo. Del resto le persone utilizzano sempre più immagini ed emoji nelle loro conversazioni virtuali; secondo lo studio pubblicato da Facebook IQ, il 56% degli intervistati ha inviato almeno una volta un messaggio composto solo da emoji. Rappresentano, in sintesi, la nuova chiave interpretativa del discorso; ecco perché includerle nelle conversazioni dei chatbot è di fondamentale importanza.

Nozioni base del copy da includere nei chatbot

Un chatbot ha successo solo se è in grado di risolvere un problema o creare un valore aggiunto nell’esperienza del cliente. È indispensabile quindi conoscere il cliente per capire come aiutarlo, ma questo non basta: tutti sono capaci di dimostrarsi utili consegnando all’utente due righe di testo noiose. Ecco come sfruttare le basi del copywriting per creare un bot il più umanizzato possibile, capace di adattarsi al modo di esprimersi e interagire delle persone. Tone of voice Per creare un’esperienza entusiasmante per gli utenti, è necessario costruire un chatbot che incarni un personaggio ben definito, con una personalità unica e una propria voce. Si tratta di un’estensione del brand, quindi lo sviluppo del personaggio deve seguire lo stile aziendale: stabilire il tono di voce di un chatbot significa decidere come il brand stesso verrà percepito dal cliente. Prima di dare voce al nostro chatbot è quindi indispensabile fare chiarezza su come l’azienda vuole essere percepita. Lavorare sul tone of voice significa inoltre conferire un’anima al chatbot e quindi contribuire a instaurare una connessione empatica ed emozionale con gli utenti, aumentandone il coinvolgimento e la volontà di tornare ad interagire con questa forma di AI. Conversational Interjections Come fa notare Patrick Stafford nell’articolo sull’Arte della Conversazione al tempo dei bot, l’uso delle Conversational Interjections (per i grammatici italiani “Interiezioni Discorsive”) dà un forte impatto alla personalità del chatbot. Il bot di Stafford userebbe espressioni come “yep”, “ah” e “sure” molto più empatiche di una ridondante frase di circostanza del tipo: “Mi sembra di capire che hai un problema. Mi dispiace molto”. Con espressioni brevi ma dirette ci si mostra concentrati sul discorso, comunicando la volontà di continuare ad ascoltare, oltre a un forte coinvolgimento. Creare un chatbot utile ad automatizzare un processo o a risolvere un problema richiede pianificazione, ottime capacità di scrittura e monitoraggio costante per evolversi. La tecnologia unita alla comprensione degli utenti e dei loro bisogni portano alla costruzione dell’esperienza desiderata. Il segreto per intrattenere conversazioni migliori (tanto reali quanto virtuali) è saper ascoltare. Ascoltare con l’intento di capire.

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